La Solidarietà e l’idea di comunita’.
C’ erano sere in cui, dopo il lavoro, i vari delegati dell’assemblea si riunivano per discutere i problemi e le loro possibili soluzioni, cercando di ottimizzare al massimo i progressi fatti man mano. Tra le maggiori difficoltà all’esame c’erano le vecchie case abbandonate, molte con tetti e fondamenta malridotti.
Quando i carpentieri chiamati da Roma confermarono che quattro case rischiavano il crollo, le famiglie furono temporaneamente ospitate nelle abitazioni di chi poteva offriva solidarietà. Il senso di orgoglio e autonomia degli abitanti non voleva però far sentire nessuno come un peso.
Dopo una notte di riflessioni, Giovanni, i suoi fratelli e sua moglie Anna, elaborarono un’idea che avrebbe potuto salvare la situazione e consolidare ancora di più lo spirito di comunità.
Il progetto prevedeva la creazione di una “squadra di mutuo soccorso” formata da volontari tra gli abitanti, che avrebbero lavorato insieme per la ristrutturazione delle case. Ogni famiglia avrebbe contribuito con materiali, lavoro o risorse secondo le proprie possibilità, in cambio, chi avesse partecipato avrebbe ricevuto una quota dei proventi della cassa comune a disposizione della comunità.
La proposta venne discussa nell’assemblea mensile, suscitando entusiasmo e consenso unanime. La solidarietà non era solo un valore astratto, ma un pilastro concreto su cui poggiava tutta la rinascita di Rocca Priora.
Nei mesi successivi, il borgo si trasformò: i tetti vennero riparati, le fondamenta rinforzate, le case tornarono ad essere luoghi accoglienti e sicuri. Il lavoro condiviso rafforzò i legami tra le famiglie, rendendo la comunità sempre più unita e determinata.
Anna e Giovanni, pur affrontando mille difficoltà, vedevano quel sogno prendere forma sotto i loro occhi. Rocca Priora non era più un borgo fantasma, ma un esempio di impegno e innovazione sociale che guardava il futuro con gli occhi aperti della speranza. Gli anni scorrevano veloci ma alla fine
arrivò quel funesto inverno che si presentò particolarmente rigido. La neve, scesa copiosa fin da novembre, imbiancava i tetti del borgo, le querce, i pascoli, persino le staccionate fatte a mano che delimitavano gli orti. Le giornate si erano fatte brevi, e l’aria pungente entrava fin dentro i camini costantemente accesi.
Giovanni , che da mesi mostrava segni di stanchezza, si ritirava sempre più spesso nei suoi silenzi, passando ore alla finestra di casa ad osservare le colline innevate, come se cercasse un dialogo con la terra che aveva aiutato a rinascere
Ma lui intuiva che una sordida malattia senza febbre , ne’ tosse e neanche dolore apparente stava crescendo dentro di lui, creando una spossatezza continua , come se il cuore stesso, dopo tanti anni di battaglia, reclamasse quiete. Giovanni iniziò a restare a letto più del solito, parlava poco, ma quando lo faceva ogni parola sembrava scolpita nel marmo.
Anna gli stava accanto, senza piangere, ma col volto contrito di chi sa che ogni gesto potrebbe essere l’ultimo. I fratelli Giuseppe, Domenico e Augusto si alternavano nel vegliarlo, insieme ad Olga e suo marito Alessandro che nel frattempo erano scesi da Firenze, mentre tutta la comunità si stringeva intorno al dolore della casa, in rispettoso silenzio .
Una sera Giovanni chiese di parlare in assemblea .
Fu trasportato nella grande sala del palazzo, dove sedeva tutta la comunità e naturalmente Anna con i due figli accanto e tutti i fratelli e amici scesi anche loro da Firenze, avvisati delle precarie condizioni di salute di Giovanni.
Egli parlò con voce roca e affannata :
— «Non fate mai l’errore di pensare che io sia stato il fondatore di tutto questo. Io sono stato il primo che ci ha creduto, insieme ad Anna, ma siete voi che avete fatto rinascere Rocca Priora. Nessuna famiglia dovrà mai sentirsi più importante delle altre. Il nostro patto rimarrà invariato anche dopo che il mio corpo avrà lasciato questa terra.
Ora dovete fare tutti insieme un ulteriore sforzo, quello di costruire un’aia dove battere il grano e fabbricare intorno all’area dei granai più grandi di quelli che abbiamo, per rendere il nostro paese sempre più autosufficiente.
Ho firmato ieri, davanti al notaio la cessione di una parte dei nostri terreni sulla via delle vigne, vicino al Sassone .
Li vorrei si costruisse un’aia che metteremo a disposizione della comunità e desidererei che non vi opponeste alle mie volontà, visto che i miei fratelli e mia moglie Anna hanno già firmato insieme a me.
Poi, quasi con un sussurro:
— «Se ho lasciato qualcosa, che sia il coraggio, perché senza quello non si costruisce nulla»
Quel luogo in seguito venne chiamato Ara Dandini.
Pochi giorni dopo Giovanni morì nel sonno, con la sua mano, nella mano di Anna.
Il funerale fu celebrato sotto una neve lieve, che sembrava scendesse da un cielo polveroso . La semplice bara, fu portata a spalla dai suoi fratelli, Franco Fiore e suo cognato Alessandro, il suo migliore amico.
Giovanni fu sepolto ai piedi del grande castagno, sotto cui aveva pronunciato molti dei suoi discorsi.
La morte di Giovanni fu uno spartiacque nel borgo, ma la sua dipartita a migliore vita non generò fratture, ma soprattutto consapevolezza. Anna, d’accordo con i suoi cognati e con l’assemblea istituì il “Giorno della Visione”, da tenersi ogni due settembre, in coincidenza con la festa del raccolto, una giornata dedicata non solo alla terra, ma alle idee, al progresso, al confronto e alla memoria.
Anna però morì qualche tempo, all’improvviso, dopo la scomparsa dell’amato Giovanni. Venne ritrovata senza vita sotto un enorme roseto cresciuto a dismisura in tutti quegli anni, che aveva coltivato con suo marito e dove erano soliti prendere il caffè dopo pranzo. Fu ritrovata da sua cognata Olga: aveva in mano la rima di un sonetto di Guido Cavalcanti, uno dei poeti preferiti da Giovanni” Donna me prega, perché io voglio dire d’un accidente ch’e’ sovente fero, ed e’ si altero ch’e’ chiamato Amore”Si era spenta , serena e sorridente, mentre probabilmente ripassava per la milionesima volta gli immortali versi di Cavalcanti. Ella Fu sepolta vicino al suo amato marito, sotto il castagno.
Del vecchio convoglio dei Dandini Raponi partito anni prima da Firenze, rimanevano i tre fratelli Dandini e i due figli di Giovanni ed Anna, Edoardo ed Augusta. Dei tre fratelli di Giovanni si sposò soltanto Augusto, il più piccolo. Giuseppe e Domenico non si sposarono mai e rimasero a Rocca Priora fino alla fine dei loro giorni, pur viaggiando per piacere ed affari per mezzo mondo e tornando spesso a Firenze per fare visita ad Olga ed Alessandro.
Augusto sposò Michela Martini, figlia di Emilio, un armatore genovese e di Ornella Cirelli, nobile campana.
Un cavallo di nome Miza fu l’ artefice dell’incontro tra i due ad un ‘asta equina in un paese vicino Roma.
Michela era li per acquistare il cavallo, un purosangue di quattro anni che la famiglia Rospigliosi aveva messo in vendita e che aveva scatenato la competizione tra gli appassionati delle corse al galoppo, avendo vinto diverse gare a livello nazionale, e che gli esperti del settore consideravano un potenziale campione.
Michela ebbe la meglio sull’acquisto del cavallo, avendo lei molti più soldi di Valerio e di tutti gli altri acquirenti, così dominò l’asta e poté avere la meglio su di loro.
Si portò via il cavallo in un baleno e senza degnare i presenti di uno sguardo, se ne tornò a casa di suo zio, Niccolo’ Bonvesin Della Riva, lasciando tutti gli uomini, lei unica donna presente all’asta, con un pugno di mosche in mano.
Il giorno dopo Augusto, inaspettatamente, ricevette una lettera da un corriere.
Nella lettera c’era scritto un indirizzo e un invito” Se ti va di farci un giro vieni a questo indirizzo, domani alle cinque di pomeriggio, ti aspettiamo per un tè, io e Miza.
Firmato M.
Il luogo dell’incontro era in una zona di Roma poco lontana dal centro, a ridosso del ponte Milvio.
Li vicino, in una grande villa di campagna, Michela era ospite di Etrusca e di suo padre Niccolo’, discendente di una nobile famiglia lombardo romana e proprietario dell’ ippodromo di Tor di Quinto.
Augusto arrivò all’appuntamento a cavallo del suo purosangue inglese, Malabar, una bestia focosa e velocissima, che aveva domato egli stesso non senza problemi, e lo aveva chiamato come la varietà di pepe indiano che suo fratello Giuseppe importò dall’oriente, in uno dei suoi viaggi insieme ad un giovanissimo Augusto.
Appena arrivato, egli fu accolto da Michela con un sorriso raggiante dipinto sul suo viso espressivo ed intelligente.
Augusto ricambiò il sorriso, mentre nel frattempo veniva accompagnato e fatto accomodare nel salotto, dove di solito la famiglia prendeva il tè e faceva colazione la mattina.
“Vorrei presentarmi disse lei, io sono Michela Martini e devi scusarmi se l’altro giorno sono stata molto sbrigativa con tutti voi all’asta, ma ero venuta con il fattore di mio zio Niccolo’ e dovevamo sbrigarci a caricare Miza per portarlo in stalla il più velocemente possibile, sai quanto sono sensibili questi cavalli, visto che anche tu ne possiedi uno di tutto rispetto.
Si, certo ti capisco, a proposito, io non mi presento, visto che sai già chi sono, ribadì con una punta di ironia lui, e ricambiandone il suo raggiante sorriso .
Ma ora dimmi, perché hai voluto questo incontro con me?
Mentre diceva ciò, arrivò il tè e nel frattempo si palesò anche Etrusca, la padrona di casa.
Fatte le dovute presentazioni, i tre consumarono la profumata bevanda seduti comodamente nella spaziosa veranda di casa Bonvesin che dava sul recinto dove Miza, inquieto e nervoso si muoveva nei suoi spazi troppo stretti per un cavallo focoso come lui.
Il sole stava per sciogliersi all’orizzonte, inondando di un colore porpora intenso il profilo delle colline romane sullo sfondo, richiamando la loro attenzione.
“Certo che abiti in un bellissimo paese, disse all’improvviso Etrusca rivolgendosi ad Augusto.
In effetti è vero rispose lui, è uno dei luoghi dove mi trovo meglio, pur avendo viaggiato molto. Già da bambino con mio fratello Giuseppe ho girato in lungo e largo la Cina, l’India e l’Inghilterra, ma ad ogni viaggio non vedevo l’ora di ritornare a casa. Io sono nato a Firenze, come più o meno tutti gli abitanti di Rocca Priora, ma appena messo piede a Rocca Priora mi sono sentito subito a casa, e non solo io, ma tutti noi paesani. È come se fossimo stati rapiti da qualche forza più potente di noi che ci ha indissolubilmente legati a quella terra, dura e faticosa ma anche infinitamente generosa.
C è qualcosa di unico in quel borgo e in tutta la natura che lo circonda, che ci fa sentire un’enclave, come se vivessimo in una bolla e facessimo fatica ad uscirne.
Forse perché lo abbiamo ricostruito pietra su pietra. Quando arrivammo a Rocca Priora, più di quindici anni fa ormai, era un luogo desolato, abitato solo da volpi, gufi ed altri animali selvatici, poi piano è tornato a fiorire attraverso la nostra opera di ricostruzione e spero che cresca e migliori ancora negli anni a venire. Noi ce la stiamo mettendo tutta.
Si lo sappiamo, disse Etrusca, spiando, di sottecchi gli occhi di Michela mentre osservava, sognante, Augusto che parlava della sua terra di adozione e dei suoi immaginifici viaggi in giro per le terre inesplorate, che anch’essa un giorno avrebbe voluto visitare. L’eco della vostra impresa è arrivata anche qui da noi a Roma, e anche questo <esperimento sociale> da voi chiamato <comune> è interessante ed originale, segno tangibile dei cambiamenti epocali che stanno avvenendo, non solo da noi, ma un po’ in tutta Europa.
Si, è vero, continuò Augusto, lusingato di fronte a due colte e bellissime ragazze figlie della migliore nobiltà romana, di poter parlare del suo amato paese.
L’idea della comune è venuta a mio fratello Giovanni,
quando da bambino capitò in quella bolgia di Parigi anni dopo la rivoluzione francese, e da allora si mise in testa, crescendo, di applicare gli stessi principi sociali, paritari per tutti, se ne fosse presentata l’opportunità’.
Quale migliore occasione fu quella della ricostruzione e della <gestione > del borgo ? Certo, tutto questo è avvenuto tra innumerevoli ed infiniti litigi, per spiegare quei concetti sconosciuti a tutti i paesani presenti in assemblea , ma i veri problemi vennero fuori soprattutto quando la Santa Sede venne a conoscenza di quella forma di <auto governo>. La Curia dapprima mandò due ispezioni in cui fu interrogato anche il nostro parroco don Clemente Cesarano, il quale garantì personalmente la correttezza di tutte le azioni di governo del paese e poi alla fine non ebbero più nulla da ridire, quando mandarono i loro esattori a riscuotere le tasse, perché con quel sistema di governo, noi attraverso una nostra cassa comune ci auto finanziamo e quindi creavamo e creiamo tutt’oggi sempre più ricchezza per le casse del Vaticano sotto forma di tasse.
Insomma, una sintesi tra la città dell’ utopia di Platonica memoria e la Parigi degli inizi dell’800, con il suggestivo tentativo di applicare i massimi e migliori sistemi alla società civile: la libertà, l’uguaglianza e la fratellanza.
Ci riusciremo? Chi vivrà vedrà, disse Augusto sorridendo.
Ma ora, disse rivolgendosi ad una sempre più ’estasiata Michela, vorresti spiegarmi il motivo della mia presenza in questo luogo bellissimo ed ospitale ?
A quel punto Etrusca, come se si fosse ricordata di avere un impegno da li e subito, di scatto si alzò dalla sua poltrona e scusandosi con gli ospiti si eclissò in un baleno tra le numerose stanze della sua casa.
Rimasti soli, i due ragazzi si guardarono stupiti e scoppiarono a ridere, rompendo l’imbarazzo che avrebbe potuto creare lo strano comportamento della padrona di casa.
“ Semplice, disse Michela dopo che si ebbe ripresa dalle risate, è da tempo che ti seguiamo quando gareggi con il tuo purosangue nelle corse dei paesi.
E da quello che abbiamo potuto vedere non hai mai perso una corsa con il tuo cavallo, peraltro bellissimo, non come il mio Miza, ovviamente che in fatto di bellezza e’ imbattibile , disse lei mentre socchiudeva gli occhi a mo’ di sfida. A proposito, come l’hai chiamato?. Malabar è il suo nome ed è figlio di due purosangue inglesi, egli rispose.
Lo comprai in Inghilterra da un allevatore molto famoso, Sir Edward Stanley, tornando da un viaggio di affari con mio fratello Giuseppe. Era stato appena svezzato come puledro e porta il nome di una varietà di pepe antica e costosa, il malabar, che noi importiamo dall’India, per rivenderlo in tutta Europa ed ovviamente anche in Inghilterra.
A dire il vero il nome glielo diedi dopo che iniziai a domarlo, per poterlo montare e potergli mettere la sella mi fece passare le pene dell’inferno.
Interessante, replicò Michela, rivolgendogli uno sguardo tra la sfida e il divertito.
Allora veniamo a noi, continuò, io ti ho invitato qui oggi, perché la famiglia di Etrusca, mia cugina, è la proprietaria dell’ippodromo di Tor di Quinto.
Come saprai, verrà inaugurato tra qualche giorno, e per l’occasione ci sarà una gara di galoppo tra gli allevatori più prestigiosi ed importanti d’Europa.
Alcuni sono arrivati dalla Spagna, dalla Francia e dall’Inghilterra, insomma da ogni parte per gareggiare con i loro destrieri.
Io ho comprato Miza solo ieri, troppo tardi per prepararlo in maniera adeguata alla corsa, avendo perduto proprio ieri il cavaliere che avrebbe dovuto montarlo per la corsa il giorno dell’inaugurazione ufficiale.
Insomma, siamo nei guai seri, perché noi siamo gli organizzatori e rischiamo di restare fuori dalla gara. Che figure ci faremmo? Mio zio Niccolò e’veramente prostrato per la situazione , temendo che questa possa diventare una debacle e il suo nome venire ricoperto di ridicolo, insieme a quello della sua scuderia.
Quando ieri gli ho parlato di te , dapprima ha storto la bocca dicendomi” Di Augusto ne ho sentito parlare anche io, è famosissimo per le sue vittorie nelle corse dei paesi intorno a Roma, ed ho anche assistito ad alcune delle sue gare.
Possiede un bellissimo cavallo, ma un conto è fare una corsa per quanto complicata a Palestrina o a Rocca Priora, e un’altra è affrontare quasi due miglia al galoppo, contro i più grandi cavalieri d’Europa in sella a dei cavalli allenati in scuderie professionali che fanno quello di mestiere, da sempre.
Tra quindici giorni, scenderanno in pista, tra gli altri, i vincitori lo scorso anno del derby di Epsom nel Surrey e del Grand Prix di Parigi.
Aspetta, disse Augusto guardandola fissa negli occhi, io ti ho ascoltata attentamente senza interromperti, ma tu mi stai proponendo di montare Miza per la gara dell’ inaugurazione dell’ippodromo?
Esatto, disse lei, ricambiando lo sguardo.
Augusto deglutì con forza, quasi non credendo a quella proposta e disse” Sarebbe un grande onore per me poterti dire di si, ma è un onere ancora più importante accettarlo.
Tuo zio Niccolò’ ha ragione da vendere, io sono un bravo cavaliere, ma mi sono sempre confrontato contro i cavalieri dei paesi qui intorno, che non sono dei professionisti che montano cavalli veloci come il vento, mentre migliaia di persone urlano i loro nomi come se fossero gli dei dell’Olimpo. I miei avversari nelle corse sono tutte persone che in vita loro non hanno mai visto un ippodromo neanche col binocolo da lontano.
Temo di non poter accettare questa tua meravigliosa proposta, non mi ritengo all’altezza di un compito cosi importante e delicato.
Una volta Giuseppe, quando ancora adolescente, mi portò a vedere una corsa al Derby di Epsom e ne rimasi talmente scioccato, che al ritorno da Londra non facevo altro che ripassare i nomi dei cavalieri e dei cavalli mentre mi rimbombavano nelle orecchie le urla della folla che mi aveva stordito e inebriato.
No, sarebbe troppo per me, ti ringrazio ma non posso accettare.
Non puoi o non vuoi Augusto? guardami negli occhi, disse Michela mettendogli una mano sul braccio e tirandolo leggermente a sé, con garbata delicatezza, ma anche con forza.
Lui non si tirò indietro a quel richiamo così intimo, e le disse guardandola: Si, è troppo per me, Michela, credimi.
No’, urlò lei rossa in volto, in uno scatto d’ira, non è così come credi tu.
Ora ti dirò perché ti sbagli, continuò infervorata e rossa in viso.
Io ho seguito tutte le tue corse di quest’anno, camuffata da maschio, tra la folla per non farmi riconoscere, perché tu non hai idea di quanti nobili romani vengono ad assistere alle vostre corse nei paesi e sarebbe stato sconveniente per una giovane ragazza frequentarle. Io e mia cugina per poter vedere le vostre gare abbiamo trovato lo stratagemma del travestimento , era divertente oltre che remunerativo. Tu non hai idea cosa loro dicono di te e quanto scommettono sotto banco. Tu sei il loro idolo, ed anche il mio, ma per altri motivi, le sussurrò Michela abbassando ad un tratto la voce tremante e rotta dal pianto, che la costrinse a sedersi per la grande emozione nell’ avergli dichiarato il suo amore.
Augusto rimase muto e basito per quella rivelazione, non riusciva parlare. Lei continuò:
Ecco, adesso penserai che la passione per te inficia il mio giudizio professionale nei tuoi confronti, disse riprendendosi, ma pronunciò questa ultima frase con la voce ancora rotta dall’emozione. Non è così, perché quando ho iniziato a seguire le vostre corse io ero molto ritrosa, considerato con tutto il rispetto, che ero abituata ad assistere a ben altro tenore di gare. Però la prima volta che ti vidi ai nastri di partenza con il tuo portamento, mentre montavi quel diavolo nero di stallone, mi si fugarono tutti i dubbi . Ho iniziato a scommettere sulle tue vittorie , insieme agli amici di Etrusca, perché per noi tutti eri < il cavaliere formidabile>, impossibile da battere, mentre correvi sul tuo destriero veloce come il vento che sbaragliava ogni altro cavallo in competizione.
Col tempo ho iniziato ad analizzare professionalmente le tue gare ed ho capito che con le tue potenzialità avresti potuto aspirare a ben altri traguardi, molto più importanti, uscire fuori dall’ambito delle corse di paese e correre per ben altri obiettivi, vista anche la tua giovane età.
Quale occasione migliore di questa, cosa ti costa provare? disse stringendogli forte le mani tra le sue.
Tu hai un talento unico ed innato per il galoppo, e credimi io sono nata in mezzo ai cavalli, e cavalieri come te ne ho visti pochi in vita mia.
E adesso baciami per favore, che anche se non parteciperai alla gara dell’inaugurazione almeno ci fidanziamo. Sto aspettando questo momento da almeno un anno, disse lei al senza più freni inibitori nei suoi confronti.
Augusto non si fece pregare dall’invito di Michela e la baciò con grande passione, mentre pensava che non gli era mai successo di ricevere una proposta di fidanzamento. Normalmente qui accade il contrario, è l’uomo che si propone nei confronti della donna, ma la ragazza è genovese, del nord Italia, e da quelle parti può darsi funzioni così, pensava, mentre estasiato si scioglieva come un fico secco tra le braccia di Michela.
Perché non mi accompagni a montare Miza?, disse all’improvviso lei, staccandosi da lui.
Impossibile, rispose Augusto, se Malabar si accorge dall’odore che ho solo avvicinato un altro cavallo potrebbe impazzire. E’ capitato già una volta con un bel baio che un amico mi aveva fatto montare per una corsa a Zagarolo.
Quando la sera andai in stalla per salutarlo, sentendomi l’odore addosso dell’altro cavallo, sfondò a calci il box dove dormiva e iniziò a correre verso i pratoni della Doganella. Per riprenderlo mi ci volle tutta la notte e dovetti chiedergli scusa, come ad una fidanzata, disse ridendo.
Risero insieme lui e Michela, erano felici ed innamorati, complici di quei momenti condivisi tra le loro grandi passioni, i cavalli e le corse e da li a poco scopriranno anche la loro altra passione in comune ,i viaggi.
Ma il tempo stringeva tiranno e loro due lo sapevano, avrebbero dovuto trovare a breve una soluzione al problema della corsa più importante dell’anno e l’imminente inaugurazione dell’ippodromo di Ponte Milvio.
I due parlarono ancora di quell’argomento quella sera e Augusto ne discusse anche con Niccolò, che nel frattempo era tornato a casa e benedì la loro unione. Ecco, ora mi tocca anche scrivere a tua madre che ti sei fidanzata a sua insaputa, mannaggia a te, disse lo zio rimproverandola bonariamente.
Facciamo una cosa, disse Michela, scriviamo a mamma una triplice lettera, ognuno di noi le scrive qualcosa cosi gli confondiamo le idee e non si arrabbia per la mia marachella. Zio caro, gli disse, io avevo già perso la testa da tempo per Augusto, lo sapeva anche Etrusca ed oggi era l’occasione perfetta per dichiarargli tutto il mio amore.
Lo sai zio adorato che sono fatta cosi, è la mia natura e lo sa anche mia madre.
Ora, oltre ai cavalli, ho aggiunto anche la passione per i cavalieri disse ridendo e abbracciandosi forte ad Augusto.
Vabbè, vabbè mi hai convinto, come al solito, ma avete parlato voi due della gara dell’inaugurazione?
Si certo zio, ma Augusto non se la sente di correre, ritiene di non essere all’altezza del ruolo che vogliamo dargli. Naturalmente io non sono d’accordo, ma lui è convinto di questo, d’altronde anche tu me lo dicevi che serbavi delle perplessità in merito alla sua attitudine nel poter correre in questo tipo di gara.
Augusto nel frattempo non parlava, come al suo solito, essendo egli uomo di azione e di poche parole, ragionava silente seguendo la sua ferrea logica, al contrario della vulcanica ed istintiva Michela, tutta scintille e fuoco sacro.
Si era fatta sera inoltrata ormai, e il giovane Dandini accettò l’invito dei Bonvesin a rimanere a cena, cosi sarebbe potuto partire comodamente il giorno dopo per far ritorno a Rocca Priora.
Augusto passò una notte insonne, a rimuginare su tutto quello che era accaduto quel giorno.
Da una parte era al settimo cielo per aver conquistato il cuore di una ragazza meravigliosa, colta, affascinante e appassionata come lui di viaggi e di cavalli.
Dall’altra però, gli pesava il fatto di non poterla aiutare partecipando a quella corsa che avrebbe dato lustro e prestigio alla sua famiglia. Non voleva deluderla, era questo il suo desiderio più grande.
Ma pensa che ti ripensa, si svegliò convinto di aver trovato la soluzione al problema della prestigiosa scuderia dei Bonvesin Della Riva
Era l’alba e si alzò per andare a trovare Malabar, che aveva dormito in una stalla insieme agli altri cavalli. Appena gli fu vicino gli carezzò il muso e appoggiando la testa contro la sua, gli chiese come avesse passato la notte, nonostante una compagnia di cavalli cosi brutti e che per questo affronto gli chiedeva scusa. Augusto gli disse di non aver avuto alternative, perché non aveva potuto rifiutare l’invito a cena di Michela e di suo zio, e giù tutta una serie di chiacchiere adulalatorie del caso, che il vanitoso stallone aveva bisogno di ascoltare. Poi gli chiese se la fosse sentita di polverizzare in gara quel presuntuoso di Miza che dormiva vicino al suo box. Tra quindici giorni esatti qui ci sarà il mondo delle corse professionistiche, diverse da quelle che facciamo noi nei paesi qui intorno, gli disse. Si lo so, tu mi dirai, che differenza c’è nel correre tra strade ricoperte di sabbia con le pendenze da brivido dei sali e scendi a velocità folle e in spazi strettissimi, dove a volte ci passa a stento uno solo di noi? La differenza c’è, fratello mio, disse Augusto accarezzando il muso sempre più incuriosito del suo destriero in questo dialogo immaginario . Intanto lo sai che i cavalli che partecipano alla corsa dell’inaugurazione hanno l’allenatore e lo stalliere personale ? Poi fanno una dieta rigorosa e non mangiano come <scofanati > tutta l’erba e il fieno che vogliono, come fai tu. Ed inoltre, terzo ma non ultimo, qui si corre con regole precise. Non si può frustare il cavaliere di fianco, come facciamo noi durante le nostre corse per farlo cadere, non si inveisce contro la folla degli spettatori che ti tifano contro, o contro il proprio avversario, non si bestemmia, qui è rigorosamente vietato, pena la scomunica e la radiazione, e poi, mentre lo stava per dire fece una breve pausa, qui si corre sellati e i cavalieri indossano la divisa della scuderia di appartenenza.
A quest’ ultima rivelazione sembrò che Malabar si fosse messo a ridere. La sella e la divisa? sembrava dicesse, ma che sono impazziti? Io la sella me la faccio mettere da te solo la domenica, quando andiamo a fare le sgambate nelle nostre gite al Tuscolo o a Monte Ceraso.
I cavalli degni di questo nome non fanno le corse sellati e i loro cavalieri non si vestono come pupazzi per carnevale, sembrò sentenziare il potente destriero.
Io e gli altri cavalli, e tu ne sei testimone, visto che mi cavalchi, durante le corse affrontiamo salite e discese con ostacoli, scalini, strade dissestate e spigoli di muro, col rischio di sfracellarci insieme a voi cavalieri.
Se mi stai chiedendo di correre sulla sabbia per qualche miglio contro degli inutili ronzini figli di papà, ti dico di si, perché non vedo l’ora di umiliarli, loro e le loro scuderie blasonate che non valgono neanche l’ombra della mia coda. Anche a rischio di mettermi a dieta e seguire le strategie di corsa di un allenatore. E questo è tutto, sembrava avesse detto Malabar.
Allora, siamo d’accordo disse raggiante Augusto, lo vado a comunicare a Michela e a zio Niccolo’. Mio Dio pensò, ora mi tocca chiamarlo zio, pensò il giovane Dandini mentre rientrava in casa per la colazione o petit dejeuner come la chiamano i nobili da queste parti, o forse a Parigi, boh.
Fatto sta, che appena Augusto mise piede nella sala della colazione, Michela gli corse incontro e avvinghiandosi a lui e baciandolo intensamente, lo mise in leggero imbarazzo.
Pensavamo tutti che te ne fossi andato, disse Michela staccandosi da lui.
No, anzi scusate il mio ritardo a colazione, ma ho voluto fare quattro passi di prima mattina nella vostra tenuta, disse. Poi sono andato a salutare Malabar per vedere come stava, visto che lo stalliere ieri sera l’aveva messo vicino a Miza e avrebbe potuto innervosirsi e neanche poco, disse sorridendo. Quindi rivolse lo sguardo verso Michela e Niccolo’ e sospirando disse, comunque a me la notte porta sempre consiglio, mentre imburrava un toast, al quale aggiunse una marmellata di limoni di Procida, subito dopo aver addentato con voracità una crostata di frolla con ricotta e visciole.
Azz, esclamò stupefatto, è straordinaria questa frolla , migliore di quella che prepara Olinda a casa nostra a Rocca Priora.
Prima di ripartire, se me lo consentite, mi farei dare la ricetta dalla vostra cuoca. Oli sarà felice di migliorare la sua frolla per farmi contento.
Appena sono entrato ne ho avvertito l’odore sull’uscio,
merito del burro francese, ci scommetterei.
Vabbè, non voglio tergiversare troppo, continuò, ma io e Malabar avremmo trovato la soluzione riguardo la corsa dell’inaugurazione. Non guardatemi così, non ho bevuto il vino di prima mattina, ma vi ho già accennato alla mia notte insonne o no? Ah e ‘ vero , non ve l’ho detto, stanotte ho dormito poco o niente, ma alla fine la notte mi ha portato consiglio e ho trovato la soluzione.
Amore mio, sei un fiume in piena rispetto a ieri che hai detto appena tre parole, disse sospirando Michela.
E’ vero, ieri mentre voi parlavate io vi ascoltavo con grande interesse, ma la soluzione non la potevate trovare, perché avevate focalizzato tutto il discorso su Miza , sbagliando cavallo, perché la soluzione al problema non può essere il vostro purosangue.
In che senso, chiese incuriosito Niccolò e subito dopo le due cugine, all’unisono.
Nel senso che il cavallo che correrà il gran premio di Roma non sarà Miza, ma Malabar, per un semplice motivo. Se volete che io partecipi allaagara, dovrò montare un cavallo che conosco come le mie tasche e che risponda perfettamente ai miei comandi.
Il tempo che abbiamo a disposizione è poco perché io possa diventare<padrone> di Miza, ma è sufficiente per fare in modo che Malabar possa diventare competitivo per la corsa, con me in sella.
Non si può fare, disse bruscamente Niccolò; il regolamento impone che tutti i cavalli iscritti al gran premio debbano provenire da scuderie autorizzate per le corse ufficiali.
Tu non possiedi una scuderia e Malabar non proviene dalla mia.
In ultimo, io Miza l’ho già iscritto alla gara il giorno stesso in cui l’ho comprato, lo stesso giorno in cui si ‘e infortunato il nostro cavaliere, purtroppo. Peppe Chicchi è un cavaliere straordinario che aveva più volte montato Miza, ma il destino non ha voluto favorirlo, e neanche noi a quanto pare.
Ascolti zio, se posso chiamarla cosi, disse timidamente ma con voce ferma Augusto.
Non mi sembra che ci siano limiti nel numero di cavalli per l’iscrizione alla gara, giusto? Fino ad un massimo di dodici cavalli rispose Niccolò’ e replicò, puoi chiamarmi zio e darmi anche del tu, se ti va.
Grazie, rispose Augusto, e continuò, tu iscrivi anche Malabar alla corsa come se fosse un cavallo della tua scuderia ed io sarò il suo cavaliere. Ti fornirò tutti i certificati delle linee di sangue e dell’allevamento dove ho comprato Malabar.
Io sono favorevole a questa soluzione disse raggiante Michela, anche io, le fece eco Etrusca, visto che il nome di Augusto lo abbiamo proposto noi due.
Si, siamo d’accordo, con tutte le incognite del caso, considerato che ne’ Augusto ne’ Malabar hanno mai corso una gara così impegnativa, e poi chiese dubbioso Niccolò, di Miza che ne facciamo?
Lo monto io, disse secca Michela.
A quel punto tutti la guardarono increduli e lei, rispondendo ai loro sguardi disse: si, sì lo so che noi donne non possiamo partecipare come cavalieri alle gare ufficiali, ma io ho partecipato più volte alle corse all’ippodromo di Genova, dove siamo più evoluti evidentemente, ed ho pure vinto una gara. Ricordi Etrusca? c’eravate anche tu e zia Virginia un giorno che eravate venute a trovarci a Genova, e poi avete assistito insieme alla mamma alla mia corsa.
Mi vestirò da uomo, come ho già fatto per assistere alle corse di Augusto e come ha fatto Elisabeth Berry che ha corso per anni sotto le spoglie di Jack Williams, vincendo migliaia di gare in Inghilterra. Parteciperò anche io con un cavallo della scuderia Bonvesin Della Riva, che ne pensate? I due uomini risposero che era una soluzione folle e non contemplata dal regolamento, ma con il suo temperamento e la sua capacità di convincimento, Michela riuscì a far intendere loro, con la complicità e l’aiuto di Etrusca, che alla fine il suo piano non era cosi folle, o che comunque pure se lo fosse stato, alternative valide sembrava non ci fossero.
“ A noi non costa nulla, anzi, partecipiamo e mostriamo al mondo intero il nostro Miza, in modo che tutti sappiano che ora appartiene alla nostra scuderia, e corriamo una gara ufficiale con due cavalli di proprietà, un fatto mai accaduto prima. Nessuno di loro ha due cavalli da presentare in gara, neanche quelle più blasonate della nostra di scuderia.
A quel punto Niccolo’ e Augusto si sedettero dovendosi arrendere all’evidenza dei fatti e dalla mancanza di altre soluzioni, e con le mani nei capelli pensarono che in fondo Michela aveva ragione ed il suo ragionamento non faceva una piega.
Io un casino del genere non l’ho mai visto in vita mia, disse Augusto, ma lei ha ragione, noi cosi facendo non avremmo niente da rimetterci. Miza deve per forza partecipare alla gara come cavallo di punta della scuderia. Certo che se i giudici si accorgessero del travestimento di Michela lei verrebbe squalificata e pensate se vincesse la corsa che disdetta sarebbe, ma vale la pena di tentare. Che ne pensi zio ? chiese Michela. Va bene, approvo questa follia, visto che l’ultima parola deve essere per forza la mia.
A proposito Michi, con quale nome ti registro?
Michele Aniello, monterò Miza con il cognome della mia nonna materna.
E allora che aspettiamo, andiamo sul campo ad allenarci, esortò Augusto, il quale rifletteva tra sé e sé ; e pensare che ieri a quest’ora stavo scendendo a Roma per bere un tè con una bella ragazza e oggi mi ci ritrovo fidanzato e in procinto di correre una delle gare di galoppo più difficili e prestigiose al mondo, iscritto peraltro, ad una scuderia che conoscevo solo di nome. Qua’ o sono tutti matti, oppure io sono il re dei matti e li supero tutti in pazzia.
Così da quella mattina, visto che il tempo stringeva, Michela e Valerio iniziarono ad allenarsi su due campi separati per non innervosire i due stalloni e farli lavorare al meglio sulla velocità e sulla resistenza.
Il compito più gravoso lo ebbe Augusto in sella a Malabar, perché il suo cavallo, seppur velocissimo, era abituato a< strappare> nelle corse brevi, tra i sali e scendi dei paesi. Qui contava partire veloci, ma bisognava anche aumentare la velocità negli ultimi metri, dove la distanza era doppia rispetto a quella a cui lui era abituato .
La prima settimana fu durissima per tutti e due, cavaliere e cavallo non si intendevano proprio sul modo di correre in pista.
E poi c’era il problema della sella da gara, perché dovettero ordinarne una in fretta e furia e quando arrivò, due giorni dopo, ne’ Augusto ne’ Malabar riuscivano ad adattarsi a questo nuovo tipo di cavalcatura.
Dall’altra parte invece, tutt’altra musica, con Michela che riuscì con la sua esperienza e le sue innate capacità, a prendere confidenza con Miza in maniera egregia, facilitata anche dal fatto che il cavallo fosse già pronto da tempo per questo tipo di gare.
Alla fine arrivò il giorno della corsa tanto attesa , e dopo l’inaugurazione ufficiale, alla presenza di tutte le autorità, gli undici cavalli con gli altrettanti cavalieri in sella, si misero in posizione sulla linea di partenza.
Miza e Malabar erano circondati da un parterre di destrieri veramente di straordinario valore e portamento.
Ovviamente Malabar, non essendo abituato a quel tipo di <giostra> e potremmo aggiungere che non fosse un cavallo propriamente< educato>, il primo purosangue che gli si avvicinò a tiro lo prese a morsi su una coscia facendolo nitrire dal dolore.
Ad un secondo cavallo invece, sferrò un calcio ben assestato in pancia e così Augusto fu richiamato dall’arbitro, e se avesse commesso una terza scorrettezza, Malabar si sarebbe beccato la penalizzazione e addirittura l’espulsione dal campo di gara.
Tutto nella norma pensò amaramente Il giovane Dandini, la colpa è solo mia,
non dovevo coinvolgere Malabar in questa corsa, è troppo impegnativa per tutti e due. E con queste cupe ma logiche riflessioni, approcciò alla gara cercando di concentrarsi sulla partenza, mentre i cavalli si allinearono in base al sorteggio. Ad Augusto e Malabar toccò la fila più esterna,
A Michela e Miza toccò la fila centrale della corsa.
Quando il giudice sparò il colpo di partenza, il cavallo inglese, quello francese e un baio chiaro di nome Petrus di una scuderia toscana di Bolgheri, aggredirono il campo di gara come se lo volessero mangiare, mettendosi subito gli altri cavalli alle loro spalle, evidenziando cosi la loro fama leggendaria e la loro superiorità di trionfatori nei gran premi ippici. Ma nonostante questo divario tra loro e gli altri cavalli, non tutti furono annichiliti dalla loro fulminea partenza, perché in quarta posizione, Michela travestita da Michele, si era infilata in un varco tra le fila scompaginate dei cavalieri più arretrati, riuscendo a rimanere attaccata, anche se con difficoltà al gruppo dominante dei tre cavalieri.
Desolatamente ultimo, in solitaria, veleggiava Augusto con il suo Malabar, il quale non sembrava intenzionato ad entrare in gara e galoppava senza troppa convinzione verso i primi tre quarti di miglio.
Mentre tutti i concorrenti allungavano e mettevano metri importanti tra loro e il nostro eroe, ad un certo punto qualcosa dovette scattare nella testa del cavallo, perché arrivati al primo miglio di corsa, mentre sembravano a quel punto definite le posizioni di arrivo, un fulmine nero piombò all’improvviso dalle retrovie dell’estrema periferia del campo di gara, iniziando a guadagnare posizioni sui concorrenti davanti a lui.
Gli spettatori accorsi, nessuno li riuscì a contare quanti fossero, forse trenta o anche quaranta mila, arrivati da mezza Europa per l’evento ippico più importante dell’anno. Avevano occupato tutte le postazioni possibili, dalle tribune dell’ippodromo ai tetti delle case circostanti, fin dove riuscirono ad arrampicarsi per vedere i loro idoli, non riuscendo a credere a quello) che stava accadendo.
Un demonio scuro che sembrava avesse le fiamme al posto degli occhi e che spruzzava fumo dalle narici, dall’undicesimo posto, relegato alla periferia estrema del campo di gara, in meno di quindici secondi era arrivato al quinto posto, e dal rumore che faceva con il naso sembrava un treno a vapore in piena corsa, inarrestabile. Come una furia, piombato a ridosso dei primi concorrenti, li costrinse a girarsi per vedere chi fosse il mostro rumoroso con le fiamme al posto degli occhi, e che in piena corsa emetteva un rumore simile alla caldaia di una nave in punto di esplodere, mentre la folla circostante urlava sgolandosi per incitare Malabar, il cavallo nero focato della scuderia di Bonvesin Della Riva.
Ora i cinque cavalli erano appaiati e negli ultimi trecento metri, l’invasato destriero diede una lezione di potenza e di velocità ai più blasonati purosangue di tutta Europa, tanto che la folla per qualche secondo smise di incitarlo e si zittì per lo stupore, rapita dall’unicità’ dell’evento.
Stava accadendo l’inverosimile, il dies ire che sarebbe stato ricordato negli annali delle corse equestri.
Malabar fece uno <scatto> poderoso , aumentando di colpo la velocità, lasciando dietro di sé il nulla, e soprattutto sconvolgendo i cavalieri e tutta la folla, che non riusciva a capire come fosse stato possibile un simile recupero dalle retrovie, e soprattutto un finale di quelle proporzioni, mai accaduto nella storia dell’ippica.
Quel giorno furono polverizzati tutti i record delle gare ufficiali, dal giorno della nascita delle corse in Inghilterra con il primo Derby di Epsom.
Fu’ l’apoteosi per Augusto e Malabar, e all’arrivo il cavallo e il suo cavaliere vennero portati in trionfo, mentre Niccolo’ ed Etrusca non stavano più nella pelle per la gioia, e si abbracciarono piangendo.
Augusrto però, il suo abbraccio più bello lo ricevette da Michela, che, scesa al volo da Miza , lo avvinghiò a sé come un’edera senza appiglio, baciandolo in pubblico, e ricevendo un lungo applauso da tutta la folla circostante, ma rivelando con quel gesto a tutti i presenti , che Miza era stato condotto da una donna, beccandosi una squalifica e l’annullamento del loro tempo in gara. Quella corsa fu per tutti un continuo colpo di scena con la rivelazione della liaison d’amore tra Michela e Augusto.
Era fatta ormai, tutti quanti vennero a saperlo, anche i fratelli Dandini e mezzo paese di Rocca Priora che era li presente ad assistere alla corsa.
Dopo la premiazione, a casa Bonvesin fu dato un ricevimento in onore del vincitore e contemporaneamente fu anche ufficializzata l’unione tra Augusto e Michela con la promessa di matrimonio davanti ai loro parenti più prossimi.
Mentre la festa si svolgeva tra i continui brindisi e i canti gioiosi degli ospiti festanti, Michela prese in disparte Augusto e gli chiese : Potresti dirmi come hai fatto a vincere questa corsa, visto che tu e Malabar eravate all’ultimo posto e il tuo cavallo non sembrava avesse voglia di correre neanche a calci? Dimmi la verità, però, che tra qualche tempo mi dovrai sposare e lo sai che non è bello mentire alle proprie mogli, e cosi dicendo gli diede un bacio che Augusto sembrò gradire, ricambiando il suo di bacio, in pari intensità.
Appena si furono staccati dall’amoroso abbraccio,
egli sospirò dicendole: sei certa di volerlo sapere?
Michela ancora più incuriosita rispose si, certo, mettendosi le mani sui fianchi e guardandolo fisso negli occhi a mo’ di sfida.
Michela era una ragazza dotata di un intelligenza viva, acuta, ed era dotata di un’ empatia unica.
Era nata a Genova, ma era quasi sempre vissuta a Roma perché quando morì il padre e lei e la mamma rimasero sole, si trasferirono a Roma, a casa della sorella di Ornella, Virginia la moglie di Niccolò.
Ornella era sempre in giro per seguire gli affari dell’azienda che il marito le aveva lasciato, e a volte, quando non poteva portarla con sé, la piccola Michela rimaneva a casa degli zii, anche per lunghi periodi.
Dai genovesi aveva ereditato la grande sagacia e il senso del pragmatismo.
Dai romani la spensieratezza e quell’aria del non prendersi mai troppo sul serio, soprattutto se nobili e ricchi come i Bonvesin.
Non che lei e la mamma non fossero ricche, avendo loro ereditato una compagnia navale alla morte del padre, ma a Michela non interessavano ne’ la fama ne’ tantomeno i soldi. Lei avrebbe voluto viaggiare per conoscere il mondo e il suo sogno era quello di allevare il cavallo perfetto per vincere il Derby e il Grand Prix, e un giorno ci sarebbe riuscita.
Augusto quella sera guardò la sua donna sotto una luce diversa, per la prima volta, e si accorse di quanto fosse bella nel suo finto broncio, con quelle espressioni sul viso da bambina, nonostante fosse ormai donna fatta, con quegli occhi color nocciola, grandi e intensi come un pianeta sconosciuto ed inesplorato. E poi le sue piccole ma proporzionate forme, che avrebbero dato modo ai grandi poeti del passato di descriverle nelle loro travolgenti liriche.
In quel momento Augusto capì di amarla di un amore toccante e perfetto.
“ Va bene, disse interrompendo i suoi pensieri nei confronti dell’amata. Tu parli con i tuoi cavalli, vero’ ? Si, a volte, rispose lei. Aspetta, non dico di parlare ai cavalli del tempo, o di quello che hanno mangiato o di altre banalità. Dico proprio fare a loro dei discorsi precisi e anche complessi, e mentre si esprimeva lo faceva cautamente, temendo di non essere capito.
Invece lei che lo stava seguendo molto attentamente , gli chiese di continuare nel suo racconto.
La mia partecipazione con Malabar alla corsa di oggi ha origine da un discorso fatto con lui, in quella famosa mattina in cui scesi in stalla e lo trovai in uno stato spaventoso. La notte aveva dormito nel box a fianco di Miza, e a causa dell’odore del tuo stallone lo trovai fuori di sé. Non stavo scherzando quando ti dicevo che Malabar non tollera l’odore degli altri cavalli.
Per calmarlo allora, gli dissi che voi ci avevate invitati a partecipare alla corsa per l’inaugurazione del nuovo ippodromo, e che avremmo dovuto correre insieme ad altri dieci cavalli. In quel modo avremmo potuto dimostrare che lui non aveva nulla di meno degli altri in gara, soprattutto di quel presuntuoso di Miza, che si dava tante arie. Se lui avesse voluto lo avrebbe battuto in velocità , senza nessun problema, lui e tutti gli amici suoi, vanitosi e arroganti quanto lui. Gli dissi anche, per caricarlo ancora di più , che gli altri <ronzini> erano venuti, inconsapevoli dall’estero per essere <stracciati> dalla sua potente e inarrestabile corsa.
Ti sembrerà puerile, amore mio, ma ogni volta che gli facevo un discorso denigrando gli altri cavalli, lui ha sempre vinto le gare a cui abbiamo partecipato.
Malabar ha bisogno di essere motivato così, e vuole sentire l’importanza di sentirsi il primo della classe.
Io pensavo in cuor mio, di averlo caricato a dovere, fino al giorno della corsa, ma in realtà mi sbagliavo, perché appena il giudice diede il via lui si accorse che io non ero convinto e motivato quanto lui, e aveva ragione. Se ne accorse subito, perché mi sentì esitare dopo che l’arbitro di gara mi riprese minacciando sanzioni nei nostri confronti. Ad un certo punto, vedendomi circondato da quel parterre di cosi alto rango, il meglio dell’ippica mondiale, non mi sentii più all’altezza della situazione, tradendo di fatto tutto il discorso fatto mattina a Malabar. Tu dovresti saperlo che i cavalli hanno una sensibilità superiore agli uomini nel riconoscere alcune nostre sensazioni emotive.
Lui voleva che vincessimo insieme questa corsa, e lui me lo stava chiedendo alla sua maniera, altrimenti non avrebbe avuto senso il mio discorso nella stalla in quella famosa mattina. E allora perché stavo esitando, proprio io, colui che avrebbe dovuto condurlo alla vittoria finale?
Io lo capii esattamente questo suo stato d’animo, mentre voi vi stavate avvicinando al primo miglio e ci avevate dato un distacco quasi incolmabile, proprio allora tentai il tutto per tutto e presi l’iniziativa, perché lui capisse che io mi ero ripreso dalle incertezze iniziali ed ero di nuovo motivato a voler vincere questa gara. Gli sussurrai nell’orecchio : “Vorrai mica farti umiliare da questi quattro ronzini, tu che sei il re degli stalloni e puoi correre più veloce del vento ? dimostraglielo ora, stracciali Malabar, vola!
A quel punto gli feci l’elenco dei cavalli che erano in gara e mentre glieli nominavo, rifilando ad ognuno di loro degli epiteti offensivi , lui aumentava furioso l’andatura, fino ad affiancarvi ai trecento metri finali, dove io ho pensato che potesse scoppiarli il cuore quando fece quello scatto finale per tagliare il traguardo.
Malabar , correndo, emetteva un rumore dal naso impetuoso ed incessante che mi stordiva. Si, ce ne siamo accorti tutti mentre ci avete affiancato, replicò Michela. Io non ho mai sentito un rumore del genere emesso da un’animale. Il tuo cavallo sembrava un demonio, qualcosa di ultraterreno, non di un animale, disse Michela con gli occhi ancora increduli. Ti capisco amore mio, pensa a me che per non cadere dalla sella mi sono dovuto aggrappare alla sua criniera, mollando le briglie.
Quando Malabar non sentì più il morso delle briglie, decise lui la strategia e la direzione da prendere in corsa, incluse le linee di sorpasso, continuò . Io ero diventato un ospite sulla sua groppa, non contavo più nulla.
Questo è quanto, disse Augusto, e per tutta risposta Michela lo baciò di nuovo e gli disse: Sei veramente un uomo speciale, e non avevo bisogno di quello che hai fatto oggi per confermarlo, ma siccome hai dato a Miza del ronzino, domani per farti perdonare mi porterai a comprare l’anello di fidanzamento. Però prima vorrei che chiarissi una mia curiosità. Qual è l’epiteto che hai rifilato a Miza? chiese lei. Lo vuoi veramente conoscere? Certo disse, assumendo un atteggiamento di sfida, voglio sentire con queste mie orecchie quale insulto hai osato immaginare per offendere il mio adorato cavallo. Va bene disse lui intimorito, ma promettimi che non ti arrabbierai. Te ne dirò due, il primo e’ quello di Petrus il baio francese degli Incisa di Bolgheri. Non so se lo sai, ma gli Incisa sono i proprietari di Chateau Petrus a Bordeaux . Li loro producono un vino leggendario, me ne parlò mio fratello Giovanni buonanima, nei ricordi dei suoi trascorsi parigini. Petrus lo avevo chiamato <aceto> e il parallelo con un vino andato a male ci sta tutto, no? il tuo Miza invece > Polemo’>, che dalle nostri parti significa lento, affaticato, anche un po’ troppo in carne, e non potendosi trattenere, iniziò a ridere nervosamente ma di gusto. Michela a quella sua reazione gli saltò addosso come una tigre, ridendo, e Augusto ,colto di sorpresa inciampò, e cosi tutti e due avvinghiati come burro e alici finirono per ruzzolare nel prato di casa Bonvesin, richiamando gli ospiti per le loro risate ormai incontenibili e rumorose.
I due ragazzi non finivano più di ridere e di baciarsi, mentre gli altri intorno a loro non capivano cosa stesse succedendo, forse pensando che avessero bevuto un po’ troppo. Dopo un po’ però li lasciarono nell’intimità del loro abbraccio, distesi paciosamente nel prato, e rientrarono nel salone delle feste. A questo punto, Michela ancora con le lacrime agli occhi per le risate, disse al suo uomo: Per aver dato del< polemone> al mio amato Miza, oltre a comprarmi un anello di fidanzamento che ti costerà una fortuna, mi dovrai portare in Giappone in viaggio di nozze, sappilo. Erano due anni che stavo programmando questo viaggio con Etrusca, ma proprio un anno fa mi innamorai di te, e allora dissi a mia cugina che avrei fatto in modo o maniera per andarci con te, in Giappone, magari anche in luna di miele.
Che ne pensi?
Che vuoi che ne pensi amore mio, che tu quando ti metti in testa una cosa sei inarrestabile. Per il viaggio in Giappone ti dico di si, perché con i miei fratelli tempo fa avevamo pensato di andarci insieme per allargare la nostra esplorazione, oltre l’India e la Cina alla ricerca delle spezie, per il nostro <business>, come dicono gli inglesi.
Se tu mi permetterai di unire l’utile del mio lavoro di importatore, non avendo a disposizione io e la mia famiglia le illimitate fortune dei Martini, potrei unire il dilettevole nell’ accompagnare la mia splendida moglie in giro per il paese del Sol Levante. Questa è la mia unica e ragionevole richiesta.
Ora però alziamoci ed andiamo ad annunciare ufficialmente la nostra unione al mondo intero.
Mentre i due ragazzi entravano in casa abbracciati, li accolse un grande applauso e innumerevoli brindisi alla loro salute.
I due si sposarono l’anno dopo, in primavera, nella tenuta della famiglia Bonvesin. Alla cerimonia furono invitati tutti i proprietari delle scuderie e i cavalieri che avevano partecipato alla corsa di inaugurazione dell’ippodromo di Tor di Quinto. Augusto e Michela, dopo le loro nozze andarono a vivere a Rocca Priora, in un luogo chiamato Sassone, dove pochi anni prima la famiglia di Augusto aveva costruito una casa colonica e dove da millenni si ergeva questo enorme masso di origine tufacea , con il suo sguardo severo puntato sulla valle Latina, ai piedi di Rocca Priora.
I due chiamarono quel luogo “Sasso Dandini”, e dotarono la loro dimora di un bellissimo giardino ricco di piante e fiori, che avevano riportato con loro dai lunghi viaggi in terre sempre più lontane ed esotiche. Una gran parte del terreno invece fu adibito al pascolo di Malabar, che nel frattempo, avendo vinto tutti i premi internazionali che c’erano da vincere, fu ritirato dalle gare ufficiali e messo a riposo. Ogni tanto il focoso destriero era richiesto per qualche <servizio> di monta con qualche giovane puledra per rinnovare la sua preziosa linea di sangue, richiesta dagli allevatori di mezzo mondo.
Miza rimase invece, a Tor di Quinto, ricevendo di tanto in tanto la visita della sua adorata padrona , e si ritirò solo qualche tempo dopo, diventando pure lui un prestigioso cavallo da riproduzione, alla pari di Malabar.
I due cavalli non corsero più in gare ufficiali dopo le vittorie del Derby di Epsom, del Grand Prix Di Parigi e di tanti altri prestigiosi e famosi circuiti internazionali , ma parteciparono, tre anni dopo che si erano sposati Augusto e Michela, ad una gara di corsa nel paese, a Rocca Priora, proprio per volere di Michela.
I due ragazzi, dopo il matrimonio non avevano più avuto modo di montare i loro cavalli, per non distrarli dai loro nuovi cavalieri, e anche quando i due destrieri erano a Roma, non li andavano più a trovare,
Insomma, avevano deciso insieme che se avessero voluto veramente veder crescere la scuderia dei Bonvesin, non avrebbero dovuto distrarre i loro amati cavalli con la loro presenza a Tor di Quinto.
I primi tempi, soprattutto per Augusto furono durissimi, abituato a stare con Malabar tutti i santi giorni, fin dalla nascita del puledro, ma lui abbozzò amaro, pensando solo che con il nuovo cavaliere, il suo velocissimo morello si sarebbe potuto coprire di gloria e di soddisfazioni, rendendo grande e prestigiosa la scuderia dei Bonvesin, e in effetti cosi fu.
Ora che i due cavalli si erano ritirati dalle gare ufficiali ed erano a riposo, Michela chiese ad Augusto cosa ne pensasse se loro due si sfidassero alla corsa dell’Assunta a Rocca Priora.
All’inizio Valerio disse di no, conoscendo i rischi e le difficoltà della corsa, soprattutto i rischi connessi a tutti gli ostacoli che avrebbero dovuto affrontare i corridori con i loro cavalli,nei tortuosi saliscendi del paese, considerata anche la totale inesperienza di Michela in quel tipo di corsa, senza sella, a pelo. No, no è troppo rischioso, disse quasi accorato egli a sua moglie.
Ma si sa, quando lei si metteva qualcosa in testa era difficile farla recedere dalla propria decisione, e alla fine delle estenuanti contrattazioni, lo riuscì a convincere , con la promessa che però quella sarebbe stata l’ultima volta.
Fu cosi che alla festa dell’Assunta, con tutto il paese presente, più migliaia di altri spettatori dei paesi intorno a Rocca Priora, accorsi per l’evento, ritrovarono per la seconda volta ai nastri di partenza in una corsa equestre Michela e Augusto. La ragazza stavolta nella sua versione femminile , senza camuffamenti , ma vestita da cavaliere mentre montava un superbo Miza, e suo marito in groppa ad un meraviglioso Malabar.
La corsa stavolta però non li vide vincitori. Il primo classificato fu un ragazzo di Frascati, Fausto Neri che in sella ad un quarter horse americano che aveva chiamato Pippo, una bestia velocissima nel tratto “breve”, stracciò tutti i concorrenti, arrivando primo di diverse lunghezze.
Era finita l’epoca dei purosangue per quel tipo di corse ed era iniziata l’era dei cavalli americani, più adatti alle corse brevi e veloci come quelle.
La sera stessa, tornati a casa, Michela confessò ad Augusto ”Prima che tu me lo chieda di come abbia fatto ad imparare a montare a pelo”, lei con il suo solito sorriso aperto al mondo gli disse” chiedi a Malabar, me l’ha insegnato lui”. Non mi dire che quando noi due non eravamo insieme hai montato Malabar e lui si è lasciato cavalcare da te, senza il mio permesso? Disse Augusto tra il serio e il divertito. Si proprio cosi, lo sai che mi annoio troppo quando non ci sei, e allora un giorno mi avvicinai a Malabar e gli chiesi se fosse disposto a farmi fare un giro senza sella, e lui non mi fece nessun problema a riguardo. D’altronde non mi hai insegnato tu a parlare con i cavalli come se fossero sapiens, amore mio? Replicò la donna più impunita di casa Dandini a suo marito. E Augusto, ormai a corto di argomenti nei confronti della sua adorata moglie, ebbe solo la forza di annuire con la testa senza proferire parola, anzi una parola gliela stava per dire, quando lei lo interruppe.
Ora però siediti che ho un’altra rivelazione per te, aspetto un bambino.
E glielo disse, mentre lui stava per bere un sorso di vino che non fece in tempo a deglutire e fu costretto a sputare per correrle incontro ed abbracciarla.
Michela gli restituì quell’abbraccio, stringendoselo a se più forte che poté. I due ragazzi si chiusero nel loro potente abbraccio imponente, come quel sasso che era li fuori e che da millenni era a guardia della loro vita, sovrano, e che per gli anni a venire avrebbe vegliato come un’ ombra benevola e protettrice sulla loro famiglia.
Dalla loro unione quell’anno nacque Stefano, poi due anni dopo Giuseppe ed infine Valerio Dandini.

